La storia di Assitan Coulibaly

Sono Assitan, ma tutti mi chiamano Ass, ho otto anni e vivo nella capitale del Mali. Nella mia città la situazione non è facile; mamma dice che la guerra interna è iniziata già prima che io nascessi e la crisi umanitaria in tutto il nostro Paese costringe molti a fuggire

“Sono Assitan, ma tutti mi chiamano Ass, ho otto anni e vivo nella capitale del Mali. Nella mia città la situazione non è facile; mamma dice che la guerra interna è iniziata già prima che io nascessi e la crisi umanitaria in tutto il nostro Paese costringe molti a fuggire. Così è successo anche per mio zio, che attualmente vive nel Nord Italia. Io invece non volevo partire e avrei preferito rimanere con i miei cinque fratelli e sorelle (io sono la più piccola) e con il mio papà, per poter frequentare la mia scuola, per poter imparare tanta matematica, la mia materia preferita, e per continuare a ballare insieme ai miei compagni. È stato proprio il mio maestro ad accorgersi che qualcosa non andava: io sono la prima della mia classe ma, da qualche tempo, ero molto stanca, avevo le mucose bianche, non riuscivo a tenere aperti gli occhi durante le lezioni. Il maestro ha consigliato ai miei genitori di portarmi dal Medico e così abbiamo iniziato ad andare tutti i giorni in uno studio per potermi curare. Mi dissero che la mia malattia si chiama leucemia linfoblastica acuta, che è una brutta malattia, che ci sarebbe voluto tanto tempo per guarire e che dovevo fare attenzione a non prendere infezioni dai miei compagni. Ho avuto tanta paura, vedevo la mamma piangere di nascosto e avrei voluto consolarla, ma non sapevo come fare. Tutti i miei parenti ci hanno aiutato a comprare le medicine, anche perché il mio papà non riesce a trovare lavoro.  Però in Mali non miglioravo, le medicine non mi aiutavano molto e non sempre era possibile fare trasfusioni. Per questo i Medici di Mali hanno inviato in vari ospedali europei la richiesta per curarmi: l’Ospedale Bambino Gesù ha accolto la richiesta e io, due mesi fa, per la prima volta in vita mia, ho preso un aereo e sono arrivata in Italia con la mia mamma che, per fortuna, può stare sempre vicino a me.

Il vostro è un ospedale grandissimo, e anche tanto colorato.  E poi tanti bambini come me hanno perso i capelli, per cui non mi vergogno così tanto. E poi ci sono i clown-dottori, i maestri, e poi posso guardare la televisione e giocare con il tablet e disegnare. Vorrei imparare anche l’italiano, così posso capire meglio gli altri bambini del reparto di OncoEmatologia  e magari giocare con loro!!! Per questo telefono spesso al mio cugino che vive qui in Italia, gli racconto quello che succede in ospedale e gli chiedo di aiutarmi a capire il significato di alcune parole: certo l’italiano è davvero difficile. A mio cucino non sembra possibile che in questo ospedale si rida, ma io rido anche con i medici e gli infermieri!!! La mia mamma può frequentare due volte a settimana le lezioni di italiano per stranieri che si svolgono nella ludoteca dell’ospedale, ma io sono più brava.

 E poi qui le medicine sembrano funzionare!!! Infatti, quando finisco il ciclo di chemioterapia, posso andare per qualche giorno a Casa Ronald: che meraviglia avere una stanza solo per me e la mia mamma e tanto verde intorno per giocare con gli altri bambini che, come me, devono ogni tanto tornare in Ospedale. I volontari poi, ogni tanto, ci accompagnano a prendere hamburger e patatine: è diventato il mio piatto preferito e non vedo l’ora di tornare alla Casa per poterne mangiare ancora.

Adesso ho davvero voglia di guarire e anche in fretta, così magari potrò visitare Roma e iniziare a frequentare la Scuola vicino a Casa Ronald. Chissà … forse potrei rimanere in Italia e diventare un medico per aiutare i bambini che si ammalano”.

22/3/2023

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